L’attuale chiesa fu costruita dall’Architetto Fiessa e dall’impresa Vigevano. Il progetto fu presentato al comune con la firma dell’Ing. Fornari l’8 luglio 1968; la licenza fu rilasciata il 24 marzo 1970. Inaugurata nell’Anno Santo del 1975, in particolare il 25 maggio con la consacrazione dell’altare da parte del Card. Vicario Ugo Poletti. Essa è sede parrocchiale, eretta il 12 dicembre 1957 con decreto del Card. Vicario Clemente Micara “inter meridiem” ed affidata al clero diocesano di Roma. La Chiesa ha pianta ottagonale in mattoni di laterizio sporgenti, che danno movimento all’esterno; ha invece pianta unica all’interno.
Due vetrate, realizzate da G. Sarti e da C. Alessandrini arricchiscono l’edificio, soprattutto di tonalità azzurra (rappresenta la notte) quella posta sopra l’ingresso; a prevalente arancione (raffigura il giorno) quella collocata sull’altare maggiore. In quegli anni, nel nostro paese, le grandi città, a causa della migrazione, crescevano continuamente e rapidamente, oltre ogni immaginazione, e si poneva l’esigenza di assicurare l’assistenza religiosa e morale a migliaia di fedeli presenti nei nuovi quartieri. A Milano come a Roma, la Chiesa sceglie di aprire a forme di architettura moderna anche per gli edifici religiosi. Il Card. G.B. Montini a Milano chiama a raccolta i migliori nomi dell’architettura moderna, quali L. Figini, G. Pollini, A. Mangiarotti, B. Morassutti, G. Muzio, Gio Ponti, e detta le linee guida: “Vogliamo presentare un’architettura libera nell’ispirazione moderna, ma contenuta in una sana democrazia edilizia: non è tempo di fare monumenti, mosaici, decorazioni costose. E’ tempo di salvare con costruzioni semplici la fede del nostro popolo” (1961).
La Chiesa di San Cipriano, come altre a Roma e nel mondo, rispondeva a questi principi ispiratori, che appartenevano ad una cristianità (Concilio Vaticano II°) che si lasciava alle spalle l’idea di chiesa trionfante, per farsi povera (anche nelle mura) come i poveri, capace di intercettare il bisogno di semplicità e autenticità. Tali canoni, nel desiderio di essenzialità, rischiavano di ridurre l’importanza dei segni, che nella vita pastorale, da sempre, hanno rappresentato una espressione della Catechesi. Forse per questa ragione, in molti di questi edifici si è reso necessario un intervento per recuperare ad una idea di bellezza, senza sfarzo ed esagerazione, i luoghi di culto.